martedì 29 ottobre 2013

Gaetano: Il mostro Italo-Argentino

In Argentina c'è la più numerosa comunità di persone che abbiano origini italiane nel mondo. È una storia antica quella che lega il nostro Paese con quello platense, ma su questo avremo modo di ritornare più avanti. 

Sicuramente, ciò che mi affascina di più è l’andare a scoprire storia per storia di coloro che lasciavano l’Italia per dirigersi in Sudamerica.

Personaggi particolari, maldestri, sognatori, lavoratori, ligi al proprio dovere, bonari… Sono tanti gli aggettivi che potrei usare per definire ciascuna storia. 

Questa volta, però, mi concentrerei su una storia di un personaggio italo-argentino molto famoso nel paese d’Oltreoceano, dove divenne tristemente famoso agli occhi dell’opinione pubblica, ma che tuttavia, è rimasto praticamente sconosciuto qui in Italia.

Si chiamava Gaetano (oppure spagnolizzato Cayetano) Santos Godino.
Non si contraddistinse per particolari meriti, iniziative o pregi, anzi fu l’assassino più famoso in tutta l’Argentina.

Ultimo di nove figli di due emigrati calabresi, arrivati nel Nuovo continente nel 1888, nacque del 1896.

Crebbe nella periferia proletaria della capitale Buenos Aires, in condizioni miserabili, in una piccola baracca di pochi metri quadrati con tutti i fratelli.
Venne su sotto le botte che gli venivano inflitte dal padre e dal fratello maggiore, entrambi perennemente schiavi di uno dei vizi che troppo spesso contagia chi, disperato, non ha nulla: l’alcolismo.

Arrivò il 1904, anno che gli segnerà la vita: all’età di 8 anni, Gaetano, per la prima volta, tolse la vita un pargolo di ventuno mesi, strozzandolo con le proprie mani. 

Stesso fatto accadde l’anno seguente e ancora nel 1906, quando, non riuscendo ad uccidere una bambina di due anni, la seppellì viva. I genitori lo fecero rinchiudere in prigione, da cui dopo due mesi uscì.

Provò, due anni più tardi, ad affogare un nuovo neonato, e poi ancora a bruciare le palpebre ad un altro. Fu nuovamente imprigionato per tre anni. 

Nel 1912 uccise tre bambini, uno di questi conficcandoli un chiodo nella sua testa. Successivamente diede anche fuoco ad un deposito semi-abbandonato nella periferia di Buenos Aires, per, come confessò lui stesso, “vedere in azione i pompieri”.

El Petiso Orejudo” (questo il soprannome che ricevette a causa delle sue enormi orecchie) venne portato in obitorio per riconoscere il cadavere di una piccola uccisa, ma le reazioni, con grande sorpresa, non furono lacrime e disperazione, ma piuttosto uno stato apatico e smarrito. 

Più tardi pronunciò questa frase raccapricciante:“quando uscivo per cercare un lavoro e poi non lo trovavo, mi veniva voglia di uccidere. Piccoli bambini o poveri indifesi”. 

I medici allora si scatenarono: il dottor Cabred e il dottor Mercante, in particolare, lo studiarono millimetro per millimetro e ritrovarono sul suo cranio il marchio lombrosiano, cioè di “indice cefalico di 78,09 inferiore al normale”, chiaro segno dei caratteri dei criminali.

Erano quelli gli anni in cui le famose teorie del medico italiano Lombroso erano iniziate a circolare e ad avere notevole successo tra i primi criminologi nel mondo.

E i due medici argentini pensarono bene di approfittarsi di questa occasione per sfruttare Gaetano come cavia. Non solo. Gli trovarono il membro genitale enorme, “di 18 centimetri”, annotarono, segno indiscutibile di volontà di violenza, sadismo, ma anche debolezza mentale. La diagnosi fu epilessia, collegata indubbiamente, ancora una volta, con il crimine.

Questo fatto divenne il pretesto perché si scatenasse una campagna xenofoba, sostenuta a gran voce dalla stampa autoctona, contro gli italiani, che identificavano in Godino lo stereotipo di assassino, il malvivente che aveva importato la criminalità in Argentina.

Venne subito mandato in un manicomio criminale, per essere poi condannato all’ergastolo nel 1915. Nel 1923 venne trasferito nel penitenziario di Ushuaia, nella parte più meridionale della Terra del Fuoco, ai confini estremi del mondo. 

Un inferno dimenticato da Dio, uno dei posti più spaventosi e terribili al mondo.
Nel novembre del 1944, Gaetano, in carcere, avvicinò un gattino, che era stato adottato dagli altri detenuti, che affettuosamente se ne erano presi cura.

Con un colpo secco gli distrusse il cranio, uccidendo il povero felino. Inviperiti, i prigionieri lo presero a botte, spaccandogli diverse ossa e lasciandolo agonizzare per una notte intera fino alla morte. 

Negli ultimi ventuno anni, Gaetano non aveva ricevuto neanche una visita; negli ultimi undici neanche una lettera, abbandonato persino dalla propria famiglia, che per la vergogna era tornata in Calabria.


Ancora oggi, se si cerca “godino” nei comuni dizionari argentini, noterete che questo termine è sinonimo di “abusador de menores, depravado, pervertidor”. Un segno incancellabile, insomma, nella storia dell’Argentina.



Riccardo Roba




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