In
Argentina c'è la più numerosa comunità di persone che abbiano
origini italiane nel mondo. È una storia antica quella che lega il
nostro Paese con quello platense, ma su questo avremo modo di
ritornare più avanti.
Sicuramente,
ciò che mi affascina di più è l’andare a scoprire storia per
storia di coloro che lasciavano l’Italia per dirigersi in
Sudamerica.
Personaggi
particolari, maldestri, sognatori, lavoratori, ligi al proprio
dovere, bonari… Sono tanti gli aggettivi che potrei usare per
definire ciascuna storia.
Questa
volta, però, mi concentrerei su una storia di un personaggio
italo-argentino molto famoso nel paese d’Oltreoceano, dove divenne
tristemente famoso agli occhi dell’opinione pubblica, ma che
tuttavia, è rimasto praticamente sconosciuto qui in Italia.
Si
chiamava Gaetano (oppure spagnolizzato Cayetano) Santos Godino.
Non
si contraddistinse per particolari meriti, iniziative o pregi, anzi
fu l’assassino più famoso in tutta l’Argentina.
Ultimo
di nove figli di due emigrati calabresi, arrivati nel Nuovo
continente nel 1888, nacque del 1896.
Crebbe
nella periferia proletaria della capitale Buenos Aires, in condizioni
miserabili, in una piccola baracca di pochi metri quadrati con tutti
i fratelli.
Venne su sotto le botte che gli venivano inflitte dal
padre e dal fratello maggiore, entrambi perennemente schiavi di uno
dei vizi che troppo spesso contagia chi, disperato, non ha nulla:
l’alcolismo.
Arrivò
il 1904, anno che gli segnerà la vita: all’età di 8 anni,
Gaetano, per la prima volta, tolse la vita un pargolo di ventuno
mesi, strozzandolo con le proprie mani.
Stesso
fatto accadde l’anno seguente e ancora nel 1906, quando, non
riuscendo ad uccidere una bambina di due anni, la seppellì viva. I
genitori lo fecero rinchiudere in prigione, da cui dopo due mesi
uscì.
Provò,
due anni più tardi, ad affogare un nuovo neonato, e poi ancora a
bruciare le palpebre ad un altro. Fu nuovamente imprigionato per tre
anni.
Nel
1912 uccise tre bambini, uno di questi conficcandoli un chiodo nella
sua testa. Successivamente diede anche fuoco ad un deposito
semi-abbandonato nella periferia di Buenos Aires, per, come confessò
lui stesso, “vedere in azione i pompieri”.
“El
Petiso Orejudo” (questo il soprannome che ricevette a causa delle
sue enormi orecchie) venne portato in obitorio per riconoscere il
cadavere di una piccola uccisa, ma le reazioni, con grande sorpresa,
non furono lacrime e disperazione, ma piuttosto uno stato apatico e
smarrito.
Più
tardi pronunciò questa frase raccapricciante:“quando uscivo per
cercare un lavoro e poi non lo trovavo, mi veniva voglia di uccidere.
Piccoli bambini o poveri indifesi”.
I
medici allora si scatenarono: il dottor Cabred e il dottor Mercante,
in particolare, lo studiarono millimetro per millimetro e ritrovarono
sul suo cranio il marchio lombrosiano, cioè di “indice cefalico di
78,09 inferiore al normale”, chiaro segno dei caratteri dei
criminali.
Erano
quelli gli anni in cui le famose teorie del medico italiano Lombroso
erano iniziate a circolare e ad avere notevole successo tra i primi
criminologi nel mondo.
E
i due medici argentini pensarono bene di approfittarsi di questa
occasione per sfruttare Gaetano come cavia. Non solo. Gli trovarono
il membro genitale enorme, “di 18 centimetri”, annotarono, segno
indiscutibile di volontà di violenza, sadismo, ma anche debolezza
mentale. La diagnosi fu epilessia, collegata indubbiamente, ancora
una volta, con il crimine.
Questo
fatto divenne il pretesto perché si scatenasse una campagna
xenofoba, sostenuta a gran voce dalla stampa autoctona, contro gli
italiani, che identificavano in Godino lo stereotipo di assassino, il
malvivente che aveva importato la criminalità in Argentina.
Venne
subito mandato in un manicomio criminale, per essere poi condannato
all’ergastolo nel 1915. Nel 1923 venne trasferito nel penitenziario
di Ushuaia, nella parte più meridionale della Terra del Fuoco, ai
confini estremi del mondo.
Un
inferno dimenticato da Dio, uno dei posti più spaventosi e terribili
al mondo.
Nel
novembre del 1944, Gaetano, in carcere, avvicinò un gattino, che era
stato adottato dagli altri detenuti, che affettuosamente se ne erano
presi cura.
Con
un colpo secco gli distrusse il cranio, uccidendo il povero felino.
Inviperiti, i prigionieri lo presero a botte, spaccandogli diverse
ossa e lasciandolo agonizzare per una notte intera fino alla morte.
Negli
ultimi ventuno anni, Gaetano non aveva ricevuto neanche una visita;
negli ultimi undici neanche una lettera, abbandonato persino dalla
propria famiglia, che per la vergogna era tornata in Calabria.
Ancora
oggi, se si cerca “godino” nei comuni dizionari argentini,
noterete che questo termine è sinonimo di “abusador de menores,
depravado, pervertidor”. Un segno incancellabile, insomma, nella
storia dell’Argentina.
Riccardo Roba
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